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SOMMINISTRAZIONE. Sentenze Amazon: oltre al danno anche la beffa!

LE SENTENZE SU AMAZON. Verità processuale e verità dei fatti: oltre al danno anche la beffa!

  • Amazon vince in giudizio per prescrizione dei termini, ma – comunque – non ha rispettato la legge e il contratto collettivo utilizzando più somministrati di quanti poteva.
  • NIdiL Cgil a Governo e Parlamento: necessario parificare i tempi di impugnazione per la somministrazione a quelli del lavoro a termine diretto, cioè passare da 60 a 180 giorni.
  • Necessario ripristinare l’obbligo di comunicazione preventiva da parte delle aziende utilizzatrici al sindacato e alle Rsu in caso di utilizzo di lavoro in somministrazione.

 

Roma, 13 luglio 2019 – “Amazon, respinto il ricorso dei precari: No a contratto stabile” questo il titolo che ha riecheggiato nelle varie testate nazionali e locali dopo la sentenza del Giudice del Lavoro di Milano sul ricorso presentato da una decina di lavoratori dopo l’indagine dell’Ispettorato del Lavoro a Castel San Giovanni che aveva rilevato il superamento delle quote consentite di interinali, tra luglio e dicembre 2017.

In realtà, solo un “dettaglio” giuridico ha fatto prevalere l’azienda: i termini per l’impugnazione dei contratti, che per i somministrati sono di 60 giorni (mentre per i lavoratori a termine diretti sono ben più lunghi, oggi 180 giorni).

L’Ispettorato del Lavoro eseguì l’ispezione dopo lo sciopero del novembre 2017, certificò la violazione (che Amazon ha per parte sua contestato) e – solo a giugno/luglio 2018 – scrisse ai lavoratori che avrebbero potuto “far valere i propri diritti”. Peccato che i rapporti di lavoro, che in quell’azienda di solito non superano i tre mesi, erano già scaduti da oltre due mesi e quindi non erano più impugnabili!

Così, oggi il giudice dà torto ai lavoratori e li condanna anche a pagare le spese: oltre al danno la beffa!

NIdiL e tutta la CGIL, ad ogni livello, pur mettendo in guardia i lavoratori dal rischio dovuto agli stretti termini di prescrizione, hanno comunque sostenuto e tutelato quanti hanno voluto far causa ad Amazon in forza della lettera dell’Ispettorato. E infatti quei lavoratori che erano nei termini dei 60 giorni hanno visto giudicati accoglibili i ricorsi dal giudice del lavoro di Piacenza.

La vicenda lascia l’amaro in bocca: l’azienda viola la legge, l’Ispettorato certifica la violazione (che peraltro il lavoratore non poteva conoscere prima) e i lavoratori ricorrono al giudice per far valere i propri diritti, poi un dettaglio tecnico nei termini di impugnazione li penalizza e vengono condannati anche a pagare le spese.

Il colosso dell’e-commerce che in tutta Italia utilizza e ha utilizzato migliaia di lavoratori con contratti da 3 a 6 mesi, viene favorito proprio dall’utilizzo di contratti molto brevi (se infatti fossero stati solo di qualche mese più lunghi molti lavoratori sarebbero stati dentro i 60 giorni per impugnare). Un’azienda che sottopone i lavoratori somministrati a un vorticoso turn over: ne prende e ne cambia a migliaia a distanza di pochi mesi, poi ne stabilizza solo una parte, tra l’altro secondo criteri non sempre comprensibili.

Per evitare il ripetersi di situazioni come questa, che per i lavoratori hanno il sapore della beffa, nel sottolineare ancora l’uso smodato di somministrazione a termine presso i siti di Amazon in tutta Italia, chiediamo a Governo e Parlamento che siano parificati i tempi di impugnazione per la somministrazione a quelli del lavoro a termine diretto, cioè passare da 60 a 180 giorni, e che sia ripristinato l’obbligo di comunicazione preventiva da parte delle aziende utilizzatrici al sindacato e alle Rsu in caso di utilizzo di lavoro in somministrazione.