UBER EATS SOTTOPOSTA AD AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA PER LO SFRUTTAMENTO DEI RIDER, ORDINANZA STORICA DI CUI SI E’ PARLATO TROPPO POCO.
È scomparsa presto, troppo presto, dai giornali e dalle tv, la vicenda Uber Eats. Eppure essa è di estrema gravità: l’accusa per l’impresa multinazionale con sede in Olanda è di aver messo in atto pratiche di caporalato, cioè intermediazione illecita di manodopera con l’aggravante del grave sfruttamento delle persone, anche approfittando del loro stato di bisogno, in quanto migranti spesso ospiti di centri di accoglienza.
APP E CAPORALATO
Uber usa non contrattualizzare direttamente i rider ma si muove come piattaforma di incontro, si fa per dire, tra domanda e offerta, tra cliente finale e ristoranti, pizzerie, fast food.
Alcuni grandi clienti, Mc Donald’s o Burger King tra gli altri, si rifiutavano di avere rapporti diretti di collaborazione con i ciclofattorini (immaginiamo volessero il servizio “chiavi in mano”) e quindi Uber ha “appaltato” a un soggetto terzo, la Flash Road City, il reclutamento e la gestione di parte del personale “assunto” con collaborazioni autonome occasionali. Ciò a fronte di un pagamento a FCR di una somma oraria di connessione del rider (6 euro circa) e di un’altra, 6 euro, per ogni consegna. Al lavoratore arrivavano le briciole del tutto, solo 3 euro a consegna: in caso di tre consegne all’ora al fattorino andavano 9 euro lordi, alla FCR circa 15 euro (!). Anche Uber aveva il suo vantaggio: è noto infatti che per ogni consegna le società di food delivery incassano circa il 30% dell’importo della merce (Uber pare “solo” il 26%).
La multinazionale olandese manteneva di fatto il controllo dei rider collaborando con l’appaltatore nel sanzionare i lavoratori con la disconnessione in caso di non rispetto delle regole di aggancio o di non risposta o di connessione in orari “non richiesti”. D’altro canto, è dimostrato anche il rapporto di sottomissione e di minaccia di interruzione dell’appalto che la stessa Uber aveva nei confronti di FCR. Vedremo come andrà avanti l’indagine ma sembra che quella emersa sia solo la punta dell’iceberg.
IL SINDACATO C’E’
Emerge in maniera lampante come l’utilizzo di una tipologia contrattuale iperprecaria come la collaborazione autonoma occasionale, senza contribuzione Inps fino a 5.000 euro annui, abbia consentito e consenta a operatori senza scrupoli di mettere in atto attività criminali su grande scala e foriere di grandi profitti; penso che in un mercato del lavoro come quello italiano, che ha già troppe forme di flessibilità contrattuali, potremmo fare serenamente a meno di una di esse.
L’azione che abbiamo intrapreso come sindacato a sostegno di questi lavoratori deve continuare più forte di prima, a partire dalla tutela di coloro che in tutta Italia sono incappati in questo girone infernale di sfruttamento. Le imprese del food delivery e la loro associazione, Assodelivery, battano un colpo: la smettano di nascondersi dietro la finta autonomia dei rider e si siedano al tavolo con il sindacato per definire regole, tutele, retribuzioni dignitose e misure per la salute e la sicurezza.
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