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RIDERS. Passi avanti… ma la strada è ancora lunga…

Il rider: animale mitologico, oggetto del desiderio, eletto a simbolo del lavoro che cambia, dell’economia digitale e della gig economy, destinatario di promesse politiche largamente disattese e artefice di una nuova frontiera sindacale. Questa, da oltre un anno, la narrazione che ha attraversato anche la discussione nella Cgil. Con la consapevolezza, però, che la consegna di beni di qualsiasi natura, cibo compreso, non può e non deve rappresentare di per sé “un’innovazione” nel mondo del lavoro, né risultano innovative le modalità di sfruttamento di questi lavoratori.

È indubbio però che i metodi e gli strumenti con i quali viene organizzata l’attività lavorativa dei riders introducono temi importanti sui cui provare ad agire. Ad esempio: l’accesso e la gestione dei dati, la costante geolocalizzazione, i meccanismi di assegnazione dei turni, il ruolo selettivo e discriminatorio agito spesso da un algoritmo, così come il meccanismo del ranking reputazionale.

Dalle ultime stime sono circa 15mila i lavoratori impiegati nel food delivery, il 10% degli occupati nella gig economy, dato a nostro avviso in forte aumento. Le modalità di impiego sono sostanzialmente tre: la collaborazione coordinata e continuativa, ormai in via di estinzione perché poco conveniente; la collaborazione autonoma occasionale (no Inps e Inail) e la collaborazione a Partita Iva.

Le novità nell’ultima legge

La legge 128/19, pur non affrontando in maniera compiuta nessuna di queste questioni, rappresenta comunque un passo in avanti sul piano dei diritti e delle tutele. È d’obbligo una precisazione: per la struttura del nostro diritto del lavoro il legislatore non può stabilire che un determinato lavoro è di per sé subordinato: è infatti la modalità con cui il lavoro viene svolto che ne determina la qualificazione.

Seppur convinti che i riders andrebbero ricondotti nell’alveo della subordinazione, non sarà mai una norma a stabilirlo, bensì l’azione sindacale. La norma avrebbe potuto semmai – ed era quello il nostro auspicio – introdurre limitazioni formali alla possibilità di utilizzo del lavoro autonomo genericamente inteso, come fece in passato la Legge Fornero, poi abrogata dal Jobs Act. Con questa consapevolezza è stata costruita l’iniziativa della Cgil NoEasyRiders, che ha impegnato negli ultimi mesi NIdiL, Filcams e Filt in numerose città italiane, e che sta vedendo nascere le prime rappresentanze dei lavoratori.

L’intervento, più o meno riuscito, del legislatore ha quindi provato a garantire tutele minime a prescindere dalla tipologia contrattuale. Per fare ciò, da un lato interviene sulla definizione di collaborazione etero organizzata alla quale, ricordiamo, si applica la disciplina del lavoro subordinato (previsione questa utilizzata nella sentenza della Corte d’appello di Torino); dall’altro prevede livelli minimi di tutela per i lavoratori puramente autonomi.

Il primo intervento, seppur nato guardando ai rider, avrà indubbiamente effetti per tutti i settori dove sono presenti collaborazioni organizzate dal committente, a patto che ovviamente il ministero del Lavoro chiarisca una volta per tutte se siamo di fronte ad una nuova forma contrattuale oppure a uno strumento puramente sanzionatorio, e se la disciplina del lavoro subordinato si applica tutta o in parte.

Qualche passo avanti per i riders

Il secondo intervento, questo sì rivolto solo ai riders, introduce elementi importanti sui temi dei compensi e della sicurezza sul lavoro, raccogliendo in parte istanze più volte rappresentate dalle organizzazioni sindacali. La legge stabilisce infatti il divieto di pagamento a cottimo, forma attualmente prevalente di retribuzione, individuando in prima battuta nei Ccnl il luogo in cui definire i criteri di determinazione del compenso. Prevedendo contestualmente che, in assenza di specifica contrattazione, ai lavoratori deve essere comunque garantito un minimo orario che abbia a riferimento i Ccnl di settori affini o equivalenti.

Viene inoltre stabilito il riconoscimento di una indennità non inferiore al 10% per lavoro notturno, festivo o svolto in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Il punto di caduta di questa previsione normativa è che entrerà in vigore tra 12 mesi, lasso di tempo entro il quale le multinazionali proveranno a depotenziarne gli effetti.

Per quanto attiene la sicurezza sul lavoro viene introdotto l’obbligo di copertura Inail. Infine viene estesa la disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà e dignità del lavoratore prevista per i lavoratori subordinati, stabilendo altresì che la mancata accettazione della prestazione non può limitare le occasioni di lavoro.

La sentenza della Cassazione

Un’ottima notizia è giunta in questi giorni dalla Corte di Cassazione che non solo conferma quanto disposto dalla Corte d’Appello di Torino producendo quindi un oggettivo passo in avanti, ma apre anche a ulteriori riflessioni. Ci sono, infatti, a nostro avviso, due passaggi importanti, almeno ad una prima lettura. Il giudice di Cassazione, sostanzialmente, sostiene che la norma dispone una precisa disciplina a fronte di una precisa modalità di svolgimento della prestazione in collaborazione. Ci dice anche che l’elenco dei diritti riconosciuti nella sentenza della Corte d’Appello di Torino non è esaustivo, ma risponde solo alle domande poste nel ricorso. Un’interpretazione così ampia della norma ci obbliga quindi a ulteriori riflessioni.

Restano aperte e irrisolte importanti questioni – per i rider ma non solo – che consentiranno ancora alle imprese di pedalare nella direzione delle forme contrattuali più convenienti. Sta a noi, una volta costruita una buona base di rappresentanza, tentare di metter loro i bastoni tra le ruote.

 

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